C'era una volta un tempo in cui anch'io ero assidua fruitrice di concerti. Ho dei ricordi un po' sfocati di quei giorni, anche perchè se tra le pagine Facebook che seguo una è " Stare in casa is the new uscire" è abbastanza ovvio che la vita notturna non è il mio forte.
Quindi è immaginabile il mio stupore quando ho saputo che i biglietti delle prime 9 file del concerto di Claudio Baglioni e Gianni Morandi che si terrà a Firenze nel mese di Febbraio, costano la modica cifra di 200 euro. Sarà che non sono abituata visto il mio suddetto "new uscire", ma ero rimasta ai vecchi concerti proprio di Baglioni, ad esempio, in cui il parterre costava cifre a due numeri; poi, ai miei tempi, al concerto si andava per ascoltare e vedere della buona musica e dei buoni artisti e non per il buffet con vino, birra, acqua flute di spumante. Infatti, mi dice il sito di Ticket One, che gli arditi possessori dei biglietti delle prime 9 file non sono come quelli della decima o della tredicesima. Loro hanno pagato fior di euro e hanno dei diritti che chi ne ha cacciati solo poco meno di 90 non merita in quanto sudicio, miserabile e laido. Ad esempio, "ospitalità pre concerto" e buffet con piatto unico con acqua, birra e vino . Ma non da soli, perchè, per quella cifra che io nemmeno per la resurrezione di Jim Morrison sborserei, avranno, "l'ingresso riservato con personale di accompagnamento", tante volte perdessero l'orientamento e non trovassero la via del buffet.
Tutto ciò è abbastanza triste, secondo me, ma proprio malinconico e tragico. Intanto perchè secondo il mio modesto e inutile parere 200 euro sono scandalosi, a prescindere, per vedere uno show, anche se cantasse la reincarnazione di Whitney Houston tornata sulla terra con le medesime fattezze. Se i due simpaticoni dal braccino corto non riescono a rientrare nei costi un concerto del genere, meglio l'evento unico in diretta su Rai 1 che ce li rende simpatici e affabili senza calcolare nulla che non siano i minuti delle canzoni di Baglioni. Per quanto mi riguarda, e, ripeto, sono una goccia nel mare dei fans fedeli fino al conto in rosso, neanche mi regalassero la prima fila andrei ad assistere a "Capitani Coraggiosi". Non so se il caso del buffet e dei 200 euro è un caso isolato o nel paradiso dei live è diventata consuetudine, per me che sono demodè è una pratica inaccettabile. Ci vedo del classismo allo stato puro, gli eletti contro il popolino che non è arrivato in tempo alla prenotazione, o che non si può permettere una botta del genere, o chissà quanti altri motivi ci saranno. Da che mondo è mondo io ho sempre visto concerti comprando fuori il panozzo con la porchetta o la salsiccia e se ero in prima fila non ho mai bevuto spumante o vino o birra compreso nel biglietto. Un concerto snaturato, ecco, una cosa inutile e pomposa che si sposa piuttosto male con l'immagine che soprattutto Morandi offre al pubblico di se.
Ma si sa, noi romantici nostalgici del concerto vecchia maniera ormai siamo fuori dai giochi. Il "the new uscire" ci condiziona, forse, oppure la trovata dei 200 euro per un concerto e un buffet sarà il metodo innovativo per spillare denari ai fans disposti a tutto. Che poi sono la maggioranza perchè so che i bigliettoni da eletti sono stati i primi ad andare a ruba.
Dunque, i casi sono due: o io sono davvero una povera donna che non ha ancora imparato a stare al mondo o non sono una fan come si deve e a questo punto non lo sarò mai.
Di sicuro, i Capitani Coraggiosi mi sono diventati due soldatini semplici che giocano a fare i furbacchioni. Una fregatura in piena regola.
lunedì, dicembre 07, 2015
venerdì, settembre 04, 2015
RITIENITI FORTUNATA CHE HAI UN LAVORO
“Ritieniti
fortunata che hai un lavoro” è la frase che accompagna un po’ tutti noi che,
gran botta di culo, un lavoro ce l’abbiamo davvero. E in effetti è proprio
così, in momenti storici come questo già il fatto di avere una busta paga a
fine mese è un po’ da paragonare alla vittoria della Lotteria della Befana il 6
Gennaio. Il problema però è che spesso tutta questa fortuna non viene vissuta
poi come tale, nel senso, sì ho un lavoro e riesco a pagare mezze bollette, ma
il resto della vita?
Dieci ore di
lavoro con turni massacranti a pochi spiccioli più di 1000 euro, davvero è
tutta questa gran fortuna? Okay, peggio non avere neanche quelli. Perfetto,
allora vedendo la questione in quest’ottica, meglio ancora avere ereditato 3
milioni di euro dallo zio d'America e vivere di rendita. Tutto sommato ognuno
di noi è ben contento di lavorare per poco o per molto, guardandoci attorno
vediamo solo disperazione, sfacelo e lotta agli immigrati anche quando non ci
hanno fatto nulla personalmente. Però capita che, quando capisci, prendi
coscienza e ti rendi conto che non ti potrai mai permettere il viaggio dei tuoi
sogni a New York e lavori 9 ore al giorno come un pazzo, un po’ senti che forse
tutta questa gran fortuna in realtà è piovuta sopra qualcun ‘altro. Di questi
tempi se osi solo pensare una roba come quella che sto scrivendo in questo
momento quasi quasi potrebbero fucilarti nella pubblica piazza e magari, sotto un
certo punto di vista, la cosa sarebbe anche giusta. Ma vivendo sulla propria
pelle una realtà che non ti regala nulla e nemmeno te lo presta, a volte ti
poni delle domande e non trovi mai le risposte che cerchi. Il lavoro è un
diritto di tutti noi, ma è anche un nostro diritto guadagnare in proporzione al
lavoro svolto. La fatica, l’impegno, la volontà di arrivare a fine giornata a
volte sono sottovalutati e impliciti in un contesto che non è quello giusto. Io
lavoro per vivere e vivere costa una cifra che non percepisco, o perlomeno che
non mi consente di vivere in maniera
dignitosa. E badate bene, ho usato la parola “dignitosa” che ha un significato
ben preciso. Pagare i conti, mangiare, vestirsi, far fronte alle emergenze e
ogni tanto pensare anche a se stessi ha un costo che con uno stipendio medio
non riesci a coprire nemmeno se fai il doppio salto carpiato. Però sei lo
stesso fortunato ed è proprio così che ci siamo abituati a ragionare. Riesci a
saldare tutte le spese di casa o quasi, vivi murato vivo perché una serata in
pizzeria porta via contanti alla bolletta della Telecom, ma ti ritieni un
eletto e non ti devi lamentare. E’ un po’ come dire, okay, mi manca un dito del
piede ma tanto la vita mi sorride perché ne ho altri 9. Una magra, magrissima
consolazione.
venerdì, agosto 28, 2015
DEDICATO AL MIO BABBO
Il mio babbo
se n’è andato il 10 febbraio 2015 alle 15,47, se non ricordo male. Era una
bellissima giornata di sole, ed ho pensato che era proprio il giorno giusto per
lui che non amava particolarmente l’inverno. Dedicare un post al mio babbo? Ho
perso così tanto tempo a scrivere di persone che neanche conosco che stavolta
ho deciso di parlare di qualcuno che ho avuto vicino da sempre. Che mi ha fatto
incavolare come una bestia più di una volta, specialmente quando parlavamo di
politica. In famiglia siamo tutti di sinistra ma io ritengo Renzi soprattutto
di destra. Lui no, per lui in quanto del Pd era per forza della nostra parte
anche se parlava come Berlusconi.
Il babbo
nasce come scavezzacollo. A 6 anni già fumava, credo che come partenza non sia
delle più rassicuranti, ma lui è sempre stato un discolo e così è rimasto fino
al 10 febbraio 2015. E’ cresciuto ma è rimasto il bimbo biondo della foto col
carretto che abbiamo a casa. Non è mai stato un genitore semplice da gestire.
Ha bruciato denaro, ha combinato guai, per un periodo è stato assente come
babbo, ma alla fine è sempre riuscito a farsi perdonare perché in fondo era un
uomo davvero buono. Aveva molti amici, non tutti sinceri, ma molti lo sono
stati. Anche quelli nuovi, quelli degli ultimi 7/8 anni, hanno dimostrato di
volergli un gran bene e per lui hanno sempre speso solo belle parole. Era molto
buffo il babbo, specialmente quando sbagliava le parole o leggeva l’inglese
proprio come era scritto. Noi glielo dicevamo, guarda che in inglese la
pronuncia è diversa. Lui però era convinto del fatto che siccome era scritto
Facebook, la pronuncia giusta doveva essere per forza faceboc, sennò lo
avrebbero scritto in un altro modo. Gia, Facebook, per lui era la finestra sul
mondo degli ultimi anni. Seguiva tutta la bacheca con attenzione, passava ore a
scorrerla e a guardare le foto e ogni tanto ci chiedeva di scrivere qualcosa a
suo nome perché ci avrebbe messo troppo con la tastiera del cellulare. Poi aveva
Whatsapp con il quale mandava messaggi anche a noi figliole. Una volta ce ne ha mandato uno vocale che non ho ancora avuto il
coraggio di riascoltare.
Secondo me
il babbo era anche un bell’uomo o perlomeno piaceva molto. Una volta era seduto
davanti casa e dei cinesi gli hanno fatto una foto. Aveva il cappellino colorato
ed era piuttosto sgargiante, chissà, se non altro in Cina qualcuno da qualche
parte avrà un ricordo di lui che magari non ricorda neanche più di avere. Sapeva
ascoltare e amava la compagnia un po’ di tutti. Con lui si fermavano venditori
africani, turisti di passaggio, anziani in cerca di qualcuno con cui parlare,
quando sedeva davanti casa raramente restava da solo. Era Giancarlo, il
Cerrini, il Papa, Ghiacciolo, Charlie, tutti soprannomi che negli anni gli amici
hanno scelto per lui. E a lui piacevano tutti.
Sarebbe retorica
dire che mi manca tanto, che sto male, che lo penso tanto. Questo post non deve
essere triste perché quando scrivo dei vips
butto qua e là un po’ di ironia, stavolta mi viene meno ma lo stesso non
voglio tristezza e nemmeno ricordi strappalacrime. Il Cerrini conosceva poco la
tristezza, la sfangava sempre in una maniera o in un’altra e la parola “depressione”
nel suo vocabolario è sempre stata praticamente inesistente. Era un godereccio,
amava mangiare, ha fumato per anni e non ha mai disdegnato un bicchiere di
vino. Il babbo era l’uomo imperfetto praticamente perfetto, forse per questo
tutti gli hanno sempre voluto bene. Perché era lo specchio dentro il quale le
persone vedevano qualcosa di se, lui, con tutti i suoi difetti, non si
nascondeva e non fingeva di essere meglio di quello che era in realtà. Per me, per noi, era il babbo e il marito che
ci ha fatto tanto arrabbiare ma al quale abbiamo sempre voluto un gran bene.
Oggi che non è più con noi è come se mancasse un pezzetto del nostro cuore, la
sua presenza era fortissima e così lo è stata fino al 10 febbraio 2015, quando
ha deciso che forse era arrivato il momento di gettare la spugna e farla finita
di patire.
Ci ricorderemo
sempre le parole che ci ha detto quel
giorno, quando lo abbiamo lasciato all’ospedale con la mamma prima di venire a
casa a mangiare: babbo tanto ci vediamo dopo, ma te come stai? Io sto bene. E
sono sicura che ora è davvero così.
domenica, maggio 24, 2015
QUELLO CHE QUALCHE DONNA NON HA PENSATO
Non è che proprio una brutta canzone, questo no, solo che per me, "Quello che le donne non dicono", non è tutto quel gran capolavoro. E' stata scritta da un uomo e si sente, anche perchè "portaci delle rose, nuove cose e ti diremo ancora un altro si", una femmina ci avrebbe pensato due volte a scriverlo. E' un po' come confermare quello che molti uomini pensano e dicono, cioè, che con un mazzolino di rose e un brillocco, immediatamente dopo siamo in posizione da partoriente pronte allo strapazzo.
"Cambia il vento ma noi no, e se ci trasformiamo un po'è per la voglia di piacere a chi c'è già o potrà arrivare, a stare con noi": in pratica tutto per noi si muove in funzione dell'uomo che ci prenderà. Ci trasformiamo e cambiamo noi stesse, solo per quello. Roba che può pensare e scrivere solo un uomo e mi ha sempre fatto molta meraviglia sentire ragazze che trovano questo pezzo un capolavoro. Ma come? lotte per dimostrare che non siamo nate dalla costola di nessuno e una canzone butta tutto all'aria?
Per sintetizzare, secondo Enrico Ruggeri, ci bastano due fiorellini per tirare giù le mutande. Le "nuove cose" possono avere variegate interpretazioni, che so, il regalino, l'invito al ristorante, il viaggetto, il mobilino Ikea. Il "si" può anche intendere un perdono, una resa. Se lui arriva a casa col sacchettino di Gucci o Piazza Italia a seconda dell'Isee, perdoniamo anche quel sabato sera durante il quale ha detto di avere la cena con gli amici della palestra. O il ritardo di 2 ore all'appuntamento. O quella macchia di fondotinta sulla camicina bianca. A proposito della trasformazione, diciamo che se all'orizzonte intravediamo peluria maschile, ci scapicolliamo dal parrucchiere e se lui ci vuole da mattina a sera col tacco 12, noi ce lo infiliamo anche per andare all'Esselunga a comprare la verdura. Non gli piacciamo col pigiama? Poco male, sottoveste di raso nero anche se fuori sono 4 gradi sotto zero, magari noi preferiamo la flanella almeno per dormire, ma noi ci trasformiamo per chi c'è già e siamo felici così. Per quanto riguarda il "dovrà arrivare", lì la cosa è diversa. E' chiaro che se siamo di rimorchio non ci presentiamo in un locale con la tuta della Diadora.
Ma è tutto un po' un tornare indietro, questo pezzo dimostra che noi donne siamo quello che siamo, "dolcemente complicate, sempre più emozionate, delicate, ma ci potrai trovare qui, con le nostre notti bianche, ma non saremo stanche neanche quando ti diremo ancora un altro si", martiri col sorriso e pronte al si anche quando vorremmo dire un sonoro e imponente "no". Ma allora, mi domando, cosa ci piace di questo pezzo? Forse il fatto che parla di noi come dei fiorellini di campo immolati al martirio e per l'8 marzo, insieme a "Donne" di Zucchero è un po' la canzone regina della situazione. In realtà non è che ci fa tutto quel bel servizio, penso io, senza troppi giri di parole non ci descrive tanto complicate e nemmeno così emozionate.
Ruggeri, mi sa tanto, che con il minimo sforzo, ha trovato il modo di prenderci simpaticamente per il culo.
"Cambia il vento ma noi no, e se ci trasformiamo un po'è per la voglia di piacere a chi c'è già o potrà arrivare, a stare con noi": in pratica tutto per noi si muove in funzione dell'uomo che ci prenderà. Ci trasformiamo e cambiamo noi stesse, solo per quello. Roba che può pensare e scrivere solo un uomo e mi ha sempre fatto molta meraviglia sentire ragazze che trovano questo pezzo un capolavoro. Ma come? lotte per dimostrare che non siamo nate dalla costola di nessuno e una canzone butta tutto all'aria?
Per sintetizzare, secondo Enrico Ruggeri, ci bastano due fiorellini per tirare giù le mutande. Le "nuove cose" possono avere variegate interpretazioni, che so, il regalino, l'invito al ristorante, il viaggetto, il mobilino Ikea. Il "si" può anche intendere un perdono, una resa. Se lui arriva a casa col sacchettino di Gucci o Piazza Italia a seconda dell'Isee, perdoniamo anche quel sabato sera durante il quale ha detto di avere la cena con gli amici della palestra. O il ritardo di 2 ore all'appuntamento. O quella macchia di fondotinta sulla camicina bianca. A proposito della trasformazione, diciamo che se all'orizzonte intravediamo peluria maschile, ci scapicolliamo dal parrucchiere e se lui ci vuole da mattina a sera col tacco 12, noi ce lo infiliamo anche per andare all'Esselunga a comprare la verdura. Non gli piacciamo col pigiama? Poco male, sottoveste di raso nero anche se fuori sono 4 gradi sotto zero, magari noi preferiamo la flanella almeno per dormire, ma noi ci trasformiamo per chi c'è già e siamo felici così. Per quanto riguarda il "dovrà arrivare", lì la cosa è diversa. E' chiaro che se siamo di rimorchio non ci presentiamo in un locale con la tuta della Diadora.
Ma è tutto un po' un tornare indietro, questo pezzo dimostra che noi donne siamo quello che siamo, "dolcemente complicate, sempre più emozionate, delicate, ma ci potrai trovare qui, con le nostre notti bianche, ma non saremo stanche neanche quando ti diremo ancora un altro si", martiri col sorriso e pronte al si anche quando vorremmo dire un sonoro e imponente "no". Ma allora, mi domando, cosa ci piace di questo pezzo? Forse il fatto che parla di noi come dei fiorellini di campo immolati al martirio e per l'8 marzo, insieme a "Donne" di Zucchero è un po' la canzone regina della situazione. In realtà non è che ci fa tutto quel bel servizio, penso io, senza troppi giri di parole non ci descrive tanto complicate e nemmeno così emozionate.
Ruggeri, mi sa tanto, che con il minimo sforzo, ha trovato il modo di prenderci simpaticamente per il culo.
sabato, maggio 09, 2015
MISSING ORMONE
Che nessuno
mi tocchi Don Matteo o divento una belva. Ogni critica che leggo per me è una
stillettata al cuore, non so perché. Sono diventata preda di una dipendenza che
non mi lascia scampo, ormai la canonica di Spoleto è un po’ anche casa mia. E
pensare che detesto i preti, non sopporto i carabinieri e i miei beniamini sono
proprio 2 di loro. Naturalmente lontani anni luce dalla realtà, ma forse è proprio
questo senso di novella che mi piace così tanto. Che dire, in odor di menopausa
mi trovo appassionata e fedele a una fiction che probabilmente sulla carta
avrei schifato peggio del fegato alla veneta. In questi ultimi mesi, grazie a
Cubovision, mi sono fatta di quelle maratone che nemmeno ai tempi di Lost. Sarà
Nino Frassica che mi ha sempre fatto tanta simpatia, sarà Terence Hill che
ormai, come le signore di una certa, ho identificato in un prete vero, saranno
Natalina e Pippo, sarà il Capitano Tommasi, non lo so. Quando guardo una puntata di Don Matteo, vengo
presa da una specie di rilassamento totale, rido, ascolto le sue parabole e le
capisco tutte alla perfezione, si vede che gli sceneggiatori riescono a toccare
le corde giuste. O sono io facilissima preda. Rimane il fatto inconfutabile che
da qualche tempo patisco l’astinenza. Se non guardo almeno una puntata al giorno,
mi deprimo. Il periodo è abbastanza triste a livello personale, ma le
disavventure della caserma e della canonica mi rallegrano e rendono meno difficili
queste faticose e interminabili giornate. La cosa un po’ mi preoccupa perché fino
a qualche tempo fa parlavo di Dexter,di Lost, di Friends, tutte robine da ggiovani con
due G, mentre ora eccomi qui a scrivere di un sacerdote in bicicletta amico di
un carabiniere. Detta così sembra
brutta, lo riconosco, ma Terence e Nino hanno fatto il miracolo e per me ormai
non c’è più scampo. Ci sono entrata con tutte le scarpe, sento di aver perso l'ormone e il mio prossimo
obiettivo sarà una visita a Spoleto per incontrare i miei due nuovi idoli sul
set. Puristi delle serie tv, lasciatemi al mio destino, a questo punto sono una
donnina perduta. Addio.
domenica, maggio 03, 2015
LA FAMIGLIA
Il concetto di famiglia in questi ultimi anni è un po' sulla bocca di tutti, diciamolo. Uomo e donna è la tipologia standard, quella tradizionale accettata da Salvini, dalla chiesa, probabilmente anche da Renzi e da tutto il cucuzzaro. Poi c'è la formazione peccaminosa, quella che per i sopracitati è l'Offesa con la O maiuscola al concetto primordiale. E' un po' come dire che se a me piacciono le donne e mi fidanzo con una, ci convivo per 30 anni, no, io e lei siamo due estranee che coabitano e giammai ci venga in mente di amarci e dichiararci nucleo. Un po' perchè i bambini si potrebbero traumatizzare, sai com'è, già per il fatto che su WhatsApp ci sono le figurine delle coppie miste qualche genitore ha già iniziato a protestare. E poi perchè, ma che schifo, due uomini che si pomiciano sono brutti da vedere anche sul palco del Concertone del Primo Maggio, figuriamoci nella vita di tutti i giorni.
Il concetto di famiglia è vasto, infinito. Famiglia è dove ci si vuole bene, che poi sia una coppia di lesbiche, di gay, di amici, di sorelle, di cugine, di quel che cavolo ci pare, ma pare normale stare a sindacare sui rapporti personali e in camera da letto? Salvini insiste nel dire che la famiglia è composta da un uomo e una donna e i figli devono avere un padre e una madre di sesso diverso. La famiglia allora è anche non lasciare la moglie e la figlia per la ragazzotta della televisione, ma su questo punto sono tutti abbastanza elastici. Sul resto magari si incaponiscono perchè non è possibile nascere gay, secondo lui e quelli come lui. E nemmeno non essere sposati e non avere figli. Loro si separano, si mettono con delle arrampicatrici sociali, mollano figli e moglie senza voltarsi indietro, si fanno sbattere sui giornali incuranti dei bambini che si trovano spiaccicato il padre con la donnetta del momento e rilasciano interviste dichiarandosi contrari ai matrimoni gay, alle coppie gay, ai genitori gay. Il concetto di famiglia "normale" deve essere salvaguardato, sostengono, e due uomini o due donne non possono essere i genitori perfetti che la società chiede e pretende. Passino le corna etero, ma l'amore omosessuale è un peccato mortale.
Il concetto di famiglia è vasto, infinito. Famiglia è dove ci si vuole bene, che poi sia una coppia di lesbiche, di gay, di amici, di sorelle, di cugine, di quel che cavolo ci pare, ma pare normale stare a sindacare sui rapporti personali e in camera da letto? Salvini insiste nel dire che la famiglia è composta da un uomo e una donna e i figli devono avere un padre e una madre di sesso diverso. La famiglia allora è anche non lasciare la moglie e la figlia per la ragazzotta della televisione, ma su questo punto sono tutti abbastanza elastici. Sul resto magari si incaponiscono perchè non è possibile nascere gay, secondo lui e quelli come lui. E nemmeno non essere sposati e non avere figli. Loro si separano, si mettono con delle arrampicatrici sociali, mollano figli e moglie senza voltarsi indietro, si fanno sbattere sui giornali incuranti dei bambini che si trovano spiaccicato il padre con la donnetta del momento e rilasciano interviste dichiarandosi contrari ai matrimoni gay, alle coppie gay, ai genitori gay. Il concetto di famiglia "normale" deve essere salvaguardato, sostengono, e due uomini o due donne non possono essere i genitori perfetti che la società chiede e pretende. Passino le corna etero, ma l'amore omosessuale è un peccato mortale.
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